Avete presente quelle persone che appena le incontri capisci fin da subito che porteranno nella tua vita solo cose belle?
Avete mai avuto davanti a voi una persona che vi sa trasmettere solo sensazioni positive? Io si!
Ho avuto il piacere, ma soprattutto l’onore, di intervistare Teo Marchese: batterista, insegnante, polistrumentista che si occupa anche di arrangiamenti, autore e produttore.
Cosa è per te la musica?
E’ una domandona. La musica e’ tutto, nel senso che rappresenta tutto quello che mi capita. Il bello e il brutto della vita, come cammino, come respiro. Puo’ sembrare un discorso da musicista che se la mena. In realtà e’ proprio un modo di percepire la vita. E questo diventa evidente nel rispetto del flusso del mondo. Per esempio per me e’ musica anche aspettare il proprio turno per parlare durante una conversazione. Il respiro che precede il discorso. Il silenzio. Insomma proprio tutto. La musica e’ la manifestazione che sono vivo.
Chi sarebbe stato Teo Marchese oggi se non avesse “incontrato” la musica? Che lavoro avrebbe svolto?
Da ragazzino ero appassionato di arti marziali orientali e di conseguenza estremamente affascinato dalla filosofia zen. Pensavo di fare Lingue Orientali a Venezia per poi fare il giornalista …
Nel corso della tua carriera hai collaborato e stai collaborando con tanta artisti: Ghemon, Paletti, Ducoli, Syria, Ila, Tonino Carotone per citarne alcuni. Ci vorresti raccontare qualcosa?
Come dicevo prima la musica e’ la manifestazione di chi sei. Per me suonare e’ un viaggio ed ho avuto la fortuna di collaborare con artisti che mi hanno portato in posti dove da solo non sarei mai andato. Ognuno di loro mi ha fatto vedere pezzetti di mondo a me sconosciuti.
Ti senti ancora nervoso prima di un concerto importante?
Pensavo fossi nervosismo invece ho scoperto che quella vibrazione è la voglia di salire e spaccare tutto. Il nervosismo negativo si manifesta per paura di sbagliare, di non essere bravo, per la paura del giudizio degli altri etc. Quella vibrazione che sento prima di salire è voglia di urlare quello che sento.
Parliamo di Teo autore e produttore. Come hai scoperto il tuo “territorio” creativo? Come lo descriveresti?
Anche questa e’ una superdomanda. Secondo me la canzone ha gia’ dentro tutto quello che serve. E’ difficile non soffocarla con le proprie idee. Un provino chitarra e voce o piano e voce è un po come una piantina, è fragile. Troppa acqua e muore. Ho iniziato in un periodo dove produrre significava prendere un brano e trasformarlo per renderlo “utile” al mercato. Per fortuna, anche se questo modo è ancora usato, il crollo delle case discografiche ha permesso in un certo senso di rispettare maggiormente la musica. Ho avuto la fortuna di collaborare con grandi musicisti in molti generi differenti e mi hanno insegnato che, spesso, la cosa migliore da fare è proprio non fare nulla. Anche vivere con una cantautrice mi ha fatto comprendere i modi in cui può nascere un brano. Per concludere direi che il mio territorio creativo e’ quello dove mi porta la canzone. Per esempio nel disco dei 2Hez nel 2006 abbiamo fatto un viaggio elettronico nell’africa dei riti funebri per manifestare il desiderio di rinascere.
Come ascoltatore, cosa cerchi in un batterista e in generale nella musica altrui?
Che mi racconti una storia senza trasmettermi il suo egoico desiderio di essere figo.
Tre canzoni chiave nella tua vita.
“Dentro Marilyn “ Degli Afterhours
“When the saints go marching in “ di Louis Armstrong
“Dounia “ di Rokia Traorè
Oltre ad essere un musicista sei anche un insegnante: in base alle tue esperienze quali sono gli errori più comuni nell’atteggiamento e nell’approccio alla musica dei giovani, e che consigli daresti a chi si vuole avvicinare ad un mercato musicale in continuo mutamento?
A volte ho paura che gli errori siano piu’ spesso commessi dagli insegnanti che dagli allievi. Suonare e’ un processo di purificazione di chi siamo e del nostro ego. Piu’ siamo attaccati a chi pensiamo di essere, peggio suoniamo. Voler essere fighi e’ in diretto conflitto con l’essere bravi. Bisogna stare bene e suonare. Perche’ suonare e’ bello, divertente. E suonare non ci rende supereroi. Vedo sul palco spesso psicodrammi di chi vorrebbe essere ricco e famoso, oppure atteggiamenti snob da star. Poi guardo su youtube bambini o anziani che cantano e provo dispiacere per i musicisti che si massacrano di paure e voglie. E’ cosi naturale suonare. Fa parte di noi. Il mercato musicale poi non ha nulla a che vedere con la musica o con chi suona. Per cui suonate e state bene. Se volete guadagnare con la musica però è un altro sport . Ha a che fare con marketing e buisness. Se volete, imparate anche quello. E combattete per la vostra musica, ma tenete separati gli ambiti.
Ho avuto il piacere di leggere “il giorno in cui abbiamo inventato l’acqua calda”, scritto con Carlo Sinigaglia che parla di alcune esperienze vissute con la musicoterapia e ti devo dire che ne sono rimasta davvero molto colpita e mi ha molto emozionato.Music and Touch Circle è una modalità di relazione tra persone che utilizza il suono e i risuonatori del corpo umano per instaurare una comunicazione non verbale. Parlaci di questo progetto.
Innanzitutto mi fa molto piacere che il libretto ti sia piaciuto. Abbiamo pensato di scrivere per cercare di spiegare quello che facciamo. E quando cerchi di spiegare che cos’e’ una relazione tra persone che non si conoscono, come si instaura e si evolve, il discorso diventa complesso e spesso noioso. Se poi parliamo di handicap grave e musica spesso si casca nella retorica e nel buonismo. Di conseguenza abbiamo pensato che il modo migliore fosse quello di descrivere cosa succede. A noi in primo luogo. Quindi siccome io ero il principiante (Carlo lavora in questo campo da un secolo) la scelta piu’ ovvia era raccontare come ho imparato a fare quello che faccio , e come mi sono sentito mentre imparavo. Sono fortunato, perche’ oggi sono uno dei pochi che ha potuto imparare sul campo. La vecchia scuola/bottega. Carlo che fa musicoterapia da mille anni mi ha sbattuto qua e la, mi ha portato in ospedale, negli asili , a casa di persone in coma e mi ha lasciato libero di imparare partendo da me. Niente corsi, niente diplomi. Solo guardare le persone e il loro dolore. E poi cercare la parte non malata, che spesso scappa e si nasconde. Adesso sono tipo 10 anni che collaboriamo e abbiamo tenuto conferenze e seminari. In questi anni abbiamo lavorato con ogni tipo di handicap e patologia proprio perche’ a noi del male in se non importa, noi cerchiamo e aiutiamo la parte sana. Non siamo medici. Ne vogliamo esserlo. Siamo complementari. Loro sconfiggono la malattia e noi aiutiamo la persona a sopravvivere finche’ non sta meglio. A trovare la voglia e la motivazione. Questo per quanto riguarda ad esempio le lungodegenze o i trapianti. Quando invece la relazione salta per problematiche psicologiche o traumi, diventiamo ponti e usiamo un codice, la musica, che non ha bisogno di essere conosciuta da entrambe le parti. Tu ti emozioni ascoltando un brano anche se non conosci la musica. Noi veniamo a prenderti e ti parliamo senza “dirti” nulla. Senza fretta , senza richieste. Siamo li con te e tu sei li con noi. E noi ti suoniamo. Si dice come se tu fossi lo spartito, ma credo sia di piu’. Noi suoniamo chi sei anche se magari non pensi di poterlo essere piu’ o di non esserlo mai stato. Ti cerchiamo e veniamo a bussare alla tua porta.
Quali sono le lezioni che ti porti dentro ancora oggi, sul lato umano e su quello musicale?
Suono da una ventina d’anni. E’ molto poco. Suonare è un continuo processo di crescita e di superamento di quello che eri . Non a livello agonistico, ma umano. Devo continuare a scremare e a guardare sempre piu’ a fondo nelle emozioni mie e delle persone con le quali suono. Ho capito che ogni prova e ogni concerto sono pezzettini del puzzle della mia vita. Quando apri la scatola c’è un gran casino, poi, man mano che vai avanti , i pezzi si incastrano e la figura comincia ad essere distinguibile.