Goat: quando la World Music diventa Musica Universale

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      Tracklist

  1. Djorolen / Union Of Sun And Moon
  2. I Sing In Silence
  3. Temple Rhythms
  4. Alarms
  5. Trouble In the Streets
  6. Psychedelic Lover
  7. Goatband
  8. Try My Robe
  9. It’s Not me
  10. All-seeing Eye
  11. Goatfuzz
  12. Goodbye
  13. Ubuntu

 

Esce ad ottobre “Requiem”, il nuovo atteso lavoro dei Goat, una delle band più interessanti nel panorama della musica attuale e al tempo stesso piuttosto sfuggente e misteriosa tanto che non è dato conoscere i nomi nè vedere i volti del collettivo svedese che infatti, appare in foto e dal vivo con costumi e maschere molto particolari, dai tratti astrusi e folcloristici.

La musica di questo particolarissimo ensemble è quanto di più ampio si possa immaginare, abbraccia diversi generi che vanno dalla World Music al Post Folk, dall’ Afro Beat al Cosmic Rock passando per Funk, Rock , Raga Indiani e tonnellate di Psichedelia. La band dal “profondo” Nord dell’ Europa rilegge in chiave occidentale tutti i linguaggi musicali del Sud e dell’oriente del mondo, tra passato e futuro, in un melting-pot dalla forma totalmente libera e universale, in una sorta di attualissimo Esperanto musicale.

Requiem, il terzo lavoro in studio del gruppo, distribuito in Italia da Goodfellas, contiene tredici episodi per un’ora abbondante di musica intensa ritmata ed evocativa. Si comincia con “Union Of Sun And Moon” cavalcata “folcheggiante” e fluttuante, tra cori, chitarre acustiche, flauti peruviani ed echi dei Talking Heads più colorati.

“I Sing In Silence” è una profusione di percussioni africane e ritmi ipnotici e coinvolgenti, la linea vocale è tanto semplice quanto efficace nel sue essere universalmente comprensibile, le chitarre danzano con noi tra rituali Voo-Doo, magia nera e pratiche esoteriche.

“Temple Rhythms”  frulla Kraut Rock e musica Soul in chiave etnica, il risultato è un brano splendido in cui Sud America e Africa si uniscono in un groove incalzante multiforme e suggestivo.

“Alarms”, epica e struggente, è un’ altra corsa nei territori più spaziali del Folk , in cui tra vortici di chitarre Western e Maracas, le voci (maschile e femminile) volteggiano e si rincorrono. Ottimo anche l’assolo di chitarra finale tipicamente Rock di “Trouble In The Street” che inizia vagamente Beatles ma diventa Calypso in un attimo, portandoci ai Caraibi, tra sole, mare e sostanze allucinogene. Come tradizione vuole c’è anche l’immancabile Slide Guitar che cresce in progressione con il brano.

In “Psychedelic Lover” i vocalizzi dei Muezzin rimbalzano tra i minareti; prima che il brano vero e proprio, una superba ballata malinconica, cominci davvero, arriva poi la ritmica funky forsennata di “Goatband” tra ombre riverberate di musica teutonica e beat centro africani.

Il viaggio intorno al mondo continua con le sonorità indianeggianti di “Try My Robe”, brano a metà strada tra la sigla dell’ ultimo film in uscita a Bollywood e gli esperimenti sonori dei Fab Four nel periodo indiano, in cui i violini e il basso si rincorrono in un Raga psicotropo e meditativo.

Arrivano poi le Marimba evanescenti di “It’s Not Me” che ondeggia leggiadra  e cosmica tra micro-cambiamenti soffici di scuola Neu!. Si prosegue poi con il potente Rock Fusion di  “All Seeing Eyes” e, in una frazione di secondo, veniamo  trasportati sul palco di Woodstock a combattere serpenti immaginari con Santana, in una danza spiritata a ritmo di Congas, appoggi di piano, groove immensi e giri di basso al limite della primissima Disco Music.

Ci avviamo verso la fine con gli ultimi brani: “Goatfuzz” è uno dei pezzi più spinti, in cui la band, come dei rinati Stooges  in chiave Folk, sforna un riff dietro l’altro, tra vocals lancinanti,  chitarre urticanti, basso e batteria che, come dei vulcani, eruttano un magma sonoro torbido, psicoattivo e incredibilmente affascinante.

La conclusiva “Goodbye” evoca inizialmente capolavori dilatati come “The End” dei Doors (ma come se fosse stata suonata a Mumbai invece che nel deserto della California) salvo cambiare repentinamente scenario tra moods caraibici, Ukulele e, splendido come sempre, il basso, che monumentale sorregge le folli scorribande etniche dei nostri svedesi.

Chiude l’album “Ubuntu”, brano in cui layers di synth, arpeggi soffusi e riverberi fanno da tappeto ad una toccante serie di samples vocali. Discorsi, pensieri, riflessioni da uomini e donne di tutto il mondo che parlano di unità, fratellanza  e  amore universale. Da pelle d’oca! Gli intenti della band non sono mai stati così chiari e riescono ad imporsi in maniera più decisa in quest’ultimo episodio. Disco incredibile, consigliato a tutti.

 

 

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