Un disco senza trucchi, senza filtri, senza tastierine carine, solo quattro stronzi con le loro incertezze, le loro debolezze e la voglia di condividerle con qualcuno
Se questa frase, vagamente ad effetto e presa direttamente dal presskit dei Voina, può sembrarvi forzata sappiate che non lo è.
I Voina sono esattamente questo, “quattro stronzi” che guardano in faccia al mondo, al loro mondo che è il mondo di molti di noi, e lo raccontano per quello che è.
Ed è uno schifo, magari detto in maniera un po’ scontata, giocando su qualche luogo comune, ma dannatamente e schifosamente vero.
Un disco di questo tipo non può essere che un lavoro in cui la sostanza è predominante sulla forma, in cui la rabbia e le emozioni vengono fuori in maniera diretta, istintiva, prima che la ragione prenda il sopravvento e ne mitighi la potenza espressiva.
Ed è uno schifo, magari detto in maniera un po’ scontata, giocando su qualche luogo comune, ma dannatamente e schifosamente vero.
Un disco di questo tipo non può essere che un lavoro in cui la sostanza è predominante sulla forma, in cui la rabbia e le emozioni vengono fuori in maniera diretta, istintiva, prima che la ragione prenda il sopravvento e ne mitighi la potenza espressiva.
“La simpatia non è una qualità” canta Ivo Bucci in “Io non ho quel non so che”, primo singolo tratto dal loro disco “Alcol, schifo e nostalgia” (INRI), e loro non vanno certo alla ricerca di simpatie musicali con mezzucci abusati e banali inserti elettronici.
Un disco disincantato, sottilmente ironico e crudelmente reale, che non piacerà agli ottimisti seriali, ai festaioli di professione, ai tuttologi per sentito dire, a chi crede alle favole e non ai sogni.
Un disco disincantato, sottilmente ironico e crudelmente reale, che non piacerà agli ottimisti seriali, ai festaioli di professione, ai tuttologi per sentito dire, a chi crede alle favole e non ai sogni.