A cura di Renata Rossi
Ultimamente mi sono interrogata su che senso possa avere scrivere di musica. Non che non mi piaccia farlo, tutt’altro, ma credo che, come un po’ tante cose, stia perdendo la poesia che merita e debba seguire le mode del momento, i like, i tag giusti, i titoli acchiappaclick.
Ed io ho una seria difficoltà a star dietro ai tempi che cambiano…
Succede però di avere occasioni come quella di intervistare Federico Fiumani, leader storico dei Diaframma. In questi momenti tutto acquista un senso in più, ci si sente davvero orgogliosi di poter “avvicinarsi” ad uno dei propri idoli, onorati di leggere le risposte alle proprie domande.
Se è assolutamente vero, infatti, che ci sono ancora band vere e non mestieranti, credo che i Diaframma siano una gemma, una perla rara nell’universo musicale italiano.
L’autenticità e la poesia dei testi di Federico sono unici, così come la grinta che esprime la sua musica, sempre ispirata e mai banale, la descrizione perfetta dei sentimenti in cui tutti possono ritrovarsi: malinconia, ossessione, innamoramento, rabbia, espressi con una liricità unica.
Il 28 luglio i Diaframma saranno a Camignone, BS, per il festival musicale di Camignonissima che ogni anno dal 1984 è sinonimo di divertimento e buona musica. Più o meno pop è tra i media partner e seguirà da vicino l’evento, online potete leggere l’intero programma della manifestazione.
Di seguito, invece, la mia appassionata intervista a Federico Fiumani.
Ciao Federico e grazie mille per avermi concesso l’onore di intervistarti.
I tuoi brani, accompagnati da testi ispirati, poetici e intensi, sono diventati la colonna sonora di intere generazioni. Che effetto ti fa questa cosa ancora adesso? La tua capacità compositiva è frutto più di ascolti musicali o delle tue esperienze di vita? O alla base dei tuoi brani c’è semplicemente un talento innato che trasforma in poesia i pensieri?
Ti ringrazio, direi che è una combinazione di queste tre cose insieme. E ci aggiungerei il “mestiere” che ti fai con gli anni.
La tua musica si muove da sempre unendo le radici del post punk e della new wave alla canzone italiana d’autore, col risultato unico che conosciamo bene. Television, JoyDivision, ma anche De Andrè e Conte sono per così dire miscelati ad arte nelle tue opere. Che rapporto hai invece con l’indie rock e la “nuova” scena italiana?
Ogni tanto mi capita di entusiasmarmi per qualcuno, ma non succede tanto spesso.
Non so se è dovuto al fatto che prima la musica fosse meglio, sono più portato a pensare che dipenda da un fatto generazionale, di età. Prima la musica mi coinvolgeva molto di più, vivevo in simbiosi con essa.
I Diaframma Ultras…Non mi sembra che esistano altrove gruppi Ultras di una rock band, gente che segue un gruppo musicale così come si segue una squadra di calcio, in casa e in trasferta, ovunque, un gruppo di persone che organizza raduni e feste in onore del proprio beniamino! Tutto ciò ti inorgoglisce? Che rapporto hai coi tuoi fan?
Adesso il fenomeno è scemato, ha perso energia. La gente cambia, passa ad altre cose. E meno male, perché spesso si creavano situazioni molto faticose da gestire.
Anche la tua pagina Facebook è molto seguita e sembra quasi uno specchio della tua vita: non solo musica e foto e dei tuoi live, ma soprattutto ricordi legati al passato, poesie, aneddoti, rapporti più o meno conflittuali con le tue donne…Persino racconti di esperienze di psicoanalisi…
Sì, a periodi. In questo non mi va di scrivere granché.
Diverse le formazioni che ti hanno accompagnato negli anni. Quale credi sia la migliore? Cosa mi racconti dei ragazzi che suonano con te oramai da qualche anno a questa parte?
A livello umano direi che la migliore è stata quella di “Siberia”, perché condividevamo molte cose, in primis la passione per la new wave, e poi insieme raggiungemmo un discreto successo, e anche questo è fondamentale.
E poi senz’altro quella di adesso, sono ottimi musicisti e persone simpatiche con cui vado fondamentalmente d’accordo.
Hai la fortuna di poter pescare durante i tuoi live, nella scelta della scaletta da proporre, tra decine e decine di pezzi, alcuni ormai imprescindibili per i tuoi fan. C’è qualche pezzo che vorresti suonare dal vivo e che per qualche motivo non proponi più da tempo? Esiste invece qualche brano che non hai più tanta voglia di suonare, e che invece ti viene sempre richiesto?
Come forse sai, io le scalette le improvviso sempre per cui può capitare di fare un pezzo semplicemente perché in quel momento qualcuno lo urla a gran voce. Chiaro che i “classici” li facciamo sempre, non avrebbe senso mandare via la gente insoddisfatta.
I Diaframma sono sempre stati una band di nicchia nella scena musicale italiana, fedele al proprio approccio punk, che non ha mai voluto snaturarsi e che forse, proprio per questo motivo, non è mai riuscita ad aprirsi ad un pubblico più numeroso, a riempire gli stadi, per così dire. Avresti preferito altro, ci sono stati periodi, del passato magari, in cui avresti immaginato e sperato qualcosa di diverso?
Per me successo significa poter fare quello che voglio, essere libero. Un successo grande probabilmente mi avrebbe creato più svantaggi che altro a livello personale, essendo io fondamentalmente un solitario. Diciamo che già il poter vivere di musica è stata una bella fortuna. Ci sono stati periodi molto duri sia a livello umano che di gradimento del pubblico, adesso le cose vanno molto meglio.
A proposito della mia ultima domanda. Da sempre si chiacchiera del tuo rapporto con Piero Pelù, leader dei Litfiba, e delle vostre diverse strade intraprese. La scelta di scrivere un pezzo insieme “Buchi Nell’Acqua”, un paio d’anni fa, da cosa nasce?
Da una mia voglia di interagire di nuovo con lui, dopo tante esperienze vissute insieme negli anni 80, e dopo esserci persi di vista per molto tempo. Sono molto soddisfatto del risultato.
Quali sono i progetti futuri per i Diaframma? Com’è la tua verve compositiva in questo periodo?
A ottobre esce un best degli ultimi 20 anni, con un inedito, poi concerti. Da qualche tempo non mi vengono canzoni nuove, non so se è il mio inconscio che sta lavorando, oppure se l’ispirazione mi ha abbandonato, staremo a vedere.
di +o- POP