Volersi Bene – Intervista agli Ex-Otago

A cura di Paolo Cunico  

Mercoledì 21 Giugno sono andato al Lumen Festival a vedere ed intervistare gli Ex-Otago, band ligure che è da poco ripartita con il tour estivo di Marassi, ultima loro fatica discografica, che dopo anni di gavetta li ha portati alla ribalta calcando i più prestigiosi club italiani in inverno.

Dopo mille disguidi sull’orario dovuti a messaggi partiti e mai arrivati, alla faccia del quattrogì, sono stati così gentili da concedermi un momento prima della loro cena nel bellissimo centro di Vicenza.

Il pensiero di dover chiacchierare con una band che è stata intervistata da personaggi ben più rilevanti e con un più ampio bacino d’utenza alle spalle del sottoscritto, per di più affamata, mi ha innervosito alquanto.

Con questo spirito mi sono seduto a tavola assieme a Maurizio Carucci (voce e tastiere) e Francesco Bacci (chitarra elettrica, basso e tastiere all’occorrenza).

 

 

Ragazzi come state? Come vi sentite con questa tournee iniziata col botto allo Sherwood?

Francesco: /cough/ (tossisce) Io ho la tosse! /ahahah/ (ridendo) No dai, stiamo bene, siamo contenti come delle pasque, ieri sera a Bologna (20 giugno n.d.r.) è stata una grandissima bomba, la prima data del tour era a Padova e non poteva iniziare meglio perché allo Sherwood c’erano quasi 10’000 persone, quindi è stato fighissimo.

Maurizio: Sta andando bene, come si può dire, siamo accovacciati su questa bella onda.

 

Beh, con il materassino griffato Marassi mi sembra la combinazione perfetta.

F: Ahahah, esattamente, bravo.

 

Fra l’altro sono venuto a vedervi allo Sherwood ed è stato un concerto bellissimo, però sono stato un po’ deluso dal fatto che non ho sentito nemmeno un belìn provenire dal palco.

F: È vero, lo mettiamo in scaletta!

M: Mettiamo un belìn in scaletta.

F: Mettiamo due belìn in scaletta! Uno verso l’inizio e uno verso la fine. Effettivamente lo usiamo poco devo dire.

M: Amiamo scimmiottare i dialetti altrui, non è che siamo bravissimi anche se Francesco ci fa sempre molto ridere. Però col nostro effettivamente non lo siamo molto, siamo un po’ pudici.

F: È vero, ogni tanto ci esce un genovesismo pesissimo a caso.

M: Esatto, anche perché il genovese del furgone Otago non è un genovese proprio di città, ma è un genovese delle campagne peggiori, frustrato, anche levantino, il più greve, grezzo che ci sia.

F: E’ vero, è veramente brutto a volte, quindi ogni tanto ci bossiamo, come si dice da noi, facciamo finta di niente.

© Matteo Leonardi

Su questo tema vi vorrei chiedere, ora che avete trovato un meritato successo dopo una lunga gavetta: quanto ancora vi sentite legati a quello che avete passato ed al vostro territorio? Chiamando il disco Marassi mi sembra che un legame ci sia, è una cosa che vi portate ancora dentro?

M: Arrivati a questo punto io credo che noi dovremmo stare attenti a mantenerlo questo legame, perché se no il rischio grosso che possiamo correre è quello di omologarci molto a quella fetta di musica mainstream che scala le classifiche ma rischia a volte anche di annoiare. E rischia, soprattutto, di disaffezionare anche molto. Invece noi vorremmo provare a continuare questo percorso pop nostro, perché noi alla fine pop lo siamo sempre stati, mantenendo però sempre un’identità forte nostra.

F: Poi sai, attitudinalmente siamo, da buoni genovesi ed anche da buoni marassini, gente con i piedi di piombo, quindi ci concediamo sì dei voli pindarici ma non è che il successo che abbiamo raggiunto ci abbia scostato molto dall’attitudine che ci caratterizza da sempre: quella di voler cambiare, mettersi in discussione costantemente, di cercare di rimanere anche a modo, calmi, di continuare a fare le solite battute brutte, queste cose qua.

 

Oggi è comunque importante anche saper intercettare un linguaggio che non si diffonde solo nell’area locale o in chi si identifica nella sola provenienza geografica. Chiaro che è importante, come avete appena detto, non dimenticare da dove si è arrivati, ma al tempo stesso saper intercettare un linguaggio sia con la musica che con tutti gli altri mezzi possibili. Visto che oggi le connessioni sono fortissime una persona può arrivare a conoscere una band anche grazie alle magliette che la band vende prima ancora che con la musica.

F:  In realtà ci sono molto regionalismi o cittadinismi che sono sempre validi, pensa agli Zen Circus con il loro Pisa Merda, o ad I Cani e i loro testi su Roma oppure anche Liberato con i suoi due pezzi estremamente connessi con Napoli. Sono quelle cose che sono sì locali, ma al tempo stesso nelle quali ognuno può rispecchiarsi, questo è intercettare un linguaggio che in realtà è comune a tutti.

M: Anche perché questo rappresenta quel salto di qualità che rende gli artisti credibili e, soprattutto, interessanti. Perché trovi il coraggio di parlare di posti che in realtà non ti appartengono ma riesci comunque a far affezionare chi ti ascolta.

 

Tutti portiamo un po’ nel cuore la nostra provincia. Nonostante tutti facciamo un po’ a gara per scappare via, alla fine quando trovi nelle canzoni aspetti che te la fanno ricordare è sempre piacevole. Poi penso che oggi sia forse più facile trovare degli aspetti comuni perché alla fine i social ci hanno permesso di trasformarci un po’ in un’unica grande provincia.

M: Eh, hai voglia.

F: Come possiamo tradurre tutto questo…. alla fine tutto il social è paese.

 

Io personalmente sono molto contento di vedere che un gruppo come voi sia riuscito a trovare un successo meritato. Mi fa piacere perché per anni il pop è arrivato sempre dagli stessi canali, addirittura gli stessi nomi (che comunque rimangono). Oggi però c’è spazio per molte altre realtà, una cosa che 10, 15 anni fa era impensabile.

M: Si è vero, difatti questo è un gran periodo per la musica italiana e per il pop, noi abbiamo avuto la fortuna, e forse qualche merito, di poterci entrare dentro. Ora spetta un po’ anche a noi il compito di mantenere vivo questo fuoco, ce la mettiamo tutta ovviamente, però è sicuramente un periodo non comune, speriamo lo diventi.

F: La cosa che dà forza a questo periodo è anche il suo carattere un po’ generazionale. C’è un sentimento forte di appartenenza ad una scena che esiste, che è trasversale; è un po’ come con l’indie d’importazione dei primi anni 2000, che aveva un forte carattere d’unione con i suoi beni e mali. Invece ora viviamo una cosa simile che però è autoctona e genuina.

M: Soprattutto è orgogliosa di essere italiana, non ci si vergogna più ad essere paragonati o a parlare di Vasco o di Venditti. Quegli autori che qualche tempo fa i ragazzetti dicevano “Pfff figurati, io volo più alto, altro che Vasco” oggi sono state rivalutati, ci si è resi conto che hanno fatto delle gran figate che sarebbe bene valorizzarle, ed anche riprenderle. Io ad esempio personalmente sto rivalutando molto Fabio Concato, che non se lo incula nessuno poveraccio, però ha scritto delle perle che io mi sto studiando e che ritroveremo nel prossimo disco degli Ex-Otago.

© Matteo Leonardi

Banalmente una volta quando dicevi che ascoltavi Battisti i giovani ti prendevano per matto, oggi invece, prendendo in mano Anima Latina, ti rendi conto che era avanti anni luce.

F: Un saggio diceva “ogni generazione litiga con i propri padri e fa pace con i propri nonni.

Willie Peyote: Che saggio, quanto sei saggio, quanto cazzo sei saggio.

F: Scusa Willie. (ridendo)

M: Però citi il saggio ma non dici che saggio era! (ridendo)

F: Era Lewis Mumford. È un po’ quello il punto, ti parlo a livello molto personale, però ad un certo punto la musica dei miei genitori non la ascoltavo a prescindere. È quel momento dell’adolescenza in cui si prende la porta e si dice “vaffanculo te e tutto ciò che ti rappresenta”. Poi si fa pace e si ritrovano delle grandissime figate. Io all’alba dei 28 anni mi sto ripescando tutti i lavori di Battisti, di Dalla, sono devastanti, era tanta roba.

 

Tu Maurizio produci vino naturale, come ti poni fra biologico e biodinamico?

M: Guarda non sono uno che ama inserirsi in una categoria né nella musica, né nella vita, tanto meno nel vino. Sicuramente quello che mi interessa è fare dei vini naturali, che nutrono, che fanno bene e che fanno anche un po’ sognare, ma non amo essere in una categoria o schematizzato in un genere… biologico, biodinamico… io dico che faccio vino naturale, quello che mi interessa è questo. È credo che l’unico vino possibile sia naturale, questo è il mio pensiero.

 

Ma la cassa di vino brandizzata Marassi è un progetto che avete in cantiere?

M: (Ridendo) Beh fare una linea Ex-Otago sarebbe figo.

F: Spaccherebbe.

M: Chissà, in futuro magari…

 

Beh alla fine anche Renzo Rosso si è messo a farlo dal nulla e dice che è strafigo.

M: Scusami ma non ho idea di chi sia Renzo Rosso

P: È il Fondatore di Diesel, qui è molto popolare e si è messo a fare anche lui due vini che dice siano incredibili. Il punto è che costano così tanto che non ho ancora trovato qualcuno che lo abbia veramente assaggiato.

M:  Ah… tutti dicono ci fidiamo, insomma. (ridendo)

F: Beh lui a livello di marketing è un drago, era riuscito a far passare come un valore positivo e straordinario l’essere stupidi, ti ricordi? Aveva fatto la campagna pubblicitaria “Be Stupid” con gli emblemi degli stupidi, dove era fighissimo essere stupidi. (spiegando a Maurizio) È un dragone lui!

 

Come procede la tua attività vinicola, Maurizio?

M: Procede abbastanza bene, in realtà abbiamo avuto qualche problema con il gelo del 20 Aprile, che da noi ha fatto un gran casino ed ha strinato tutte le piante. Non so se anche qui abbiate avuto problemi.

 

Onestamente non ricordo, ti dico per ora siamo stati fortunati che non abbiamo ancora avuto grossi problemi di grandine. Comunque peccato che siate in tour questo week end (23 Giugno scorso, n.d.r.) perché se no sareste potuti venire alla vespaiolona a Breganze. Si girano molte cantine della zona e si beve discretamente bene e poi dalle 10 e mezza in poi ti fai una spremuta concentrata di provincia alto vicentina.

M: Figata! E tu sei il benvenuto a venire a trovarci in cantina, il progetto si chiama Cascina Barbàn!

 

Grazie ragazzi, è stato veramente un piacere, buon appetito e buon concerto!

 

Ed è così che termina un’intervista rincorsa e temuta che è andata benissimo. Vorrei ringraziare personalmente Maurizio e Francesco per la loro gentilezza e la disponibilità ad essere intervistati. Un grazie va anche a tutto il resto della band, alla tour manager Federica ed a Willie Peyote per l’amichevole intrusione.

Grazie per l’invito in cantina, anche se forse sottostimate la pericolosità di invitare un Veneto in un posto zeppo di vino buono…

Alla prossima!

 

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Foto copertina: Giulia Pistone

Informazioni su Paolo Cunico 71 articoli
Nato sotto la stella dei Radiohead e di mani pulite in una provincia dove qualcuno sostiene di essere stato, in una vita passata, una motosega.

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