Parole di: Renata Rossi
E sono due…
Due anni senza David Bowie e anche due anni insieme al suo ultimo disco, Blackstar, l’epitaffio che ci ha lasciato prima di volare via da questa terra.
Ricordo bene il momento in cui il disco arrivò a casa mia: era l’8 gennaio di due anni fa, lo stesso giorno del suo 69 compleanno e due giorni prima della sua morte, avvenuta nella notte del 10 gennaio. Ebbene sono bastati una manciata di ascolti dell’album e sono partiti messaggi con amici che pure avevano acquistato Blackstar. Da subito ci siamo resi conto di una cosa: non era un disco qualunque, non una cosa buttata lì da un uomo alla fine della sua carriera, ma era un album speciale, un capolavoro.
Più che altro non poteva esser altro che l’ennesimo gioiello prezioso di Bowie, cantante e artista dalla personalità unica e dal carisma eccezionale, riconosciuto da tutti, fan e detrattori. Ciò che soprattutto lo ha caratterizzato sempre è stata la sua capacità di anticipare mode, di essere icona di stile, di saper creare il suo soul, il “soul bianco” e sperimentare stile e generi che diventavano costantemete tendenze. Essere insomma sempre il numero uno, una sorta di Re Mida, capace di trasformare in oro ciascuna cosa toccasse.
Per mesi è stato difficile avvicinarmi a Blackstar, quell’album è significato per me morte, fine, malattia. Col tempo però sono riuscita ad ascoltarlo e riassaporarlo al meglio. Ogni canzone è un capolavoro assoluto, svela capacità difficilmente riscontrabili altrove. Fondere nella canzone di apertura i generi più disparati, dal prog al jazz, suonare insieme moderno e classico, essere fuori da ogni possibile logica di vendita (è lungo 10 minuti) e pure godibilissimo, alto e celeste e insieme mortale e carnale. Tutto il pezzo e l’album intero è costruito su atmosfere surreali e oniriche. I testi di questa e di altre canzoni di Blackstar sono pieni di riferimenti alla sofferenza e alla morte e possiedono tuttavia una grandezza universale e simbolica da poter essere assimilati a poesie laiche.
Blackstar
Something happened on the day he died
Spirit rose a metre and stepped aside
Somebody else took his place, and bravely cried
(I’m a blackstar, I’m a blackstar)
Lazarus
Look up here, I’m in heaven
I’ve got scars that can’t be seen
I’ve got drama, can’t be stolen
Everybody knows me now
L’artwork di Blackstar è opera di Jonathan Barnbrook, già autore della grafica degli album di Bowie Heathen, Reality, e The Next Day. La copertina del cd ha una grande stella nera su sfondo bianco, e una scritta stilizzata che riporta la parola BOWIE. La versione LP in vinile, invece ha la copertina di colore nero, con la stella in sezione intagliata. Molti hanno giudicato banale la copertina, senza soffermarsi sulla sua profondità. La stella colpisce più di tante altre copertine, quasi un buco nero che ingloba tutto e tutti, quasi un monito nei confronti della vita che prima o poi ti inghiottisce senza darti scampo. In più la versione in vinile è davvero speciale: la stella, se messa contro la luce del sole si trasforma in un cielo stellato, basta solo rimuovere il disco e aprire la copertina. Altri “segreti” si celano dietro la copertina in cui una stella diventa di colore blu elettrico se viene esposta ai raggi uv.
Misteri profondi come la vera essenza di Bowie, la sua vita unica e straordinaria così come la sua morte, un’uscita di scena elegante e ambiziosa, realizzata in punta di piedi ma annunciata a tutti, nel modo migliore in cui solo un genio come lui poteva fare: con la musica, destinata a parlare agli animi di chi ha amato e amerà per sempre una BLACKSTAR.
di +o- POP