Parole a cura di Marlene Chiti
Photostory a cura di Sonia Golemme
Dopo più di sei anni di sosta, tornano nel 2018 gli One Dimensional Man con un nuovo disco e relativo tour, sempre in trio, in una formazione composta oltre che dal solito Capovilla al basso e alla voce, da Carlo Veneziano alla chitarra e Francesco Valente alla batteria. Tornano riprendendo il cantato in lingua inglese che sempre li ha contraddistinti, cifra distintiva rispetto all’altro più noto progetto di Capovilla, Il Teatro Degli Orrori, e ripescano una furia noise intrecciata a tematiche politiche e pessimismo sulla condizione umana, filo rosso che si riallaccia ai primordi della band, che affonda le sue primigenie ispirazioni nelle musiche distorte del post hardcore di casa Dischord, rinnegando le aperture melodiche del più recente e variegato A Better Man del 2011, totalmente assente da questi live.
22 Marzo, Lumiere di Pisa
Si apre, gruppo ancora dietro le quinte, con la traccia di chiusura dell’ultimo lavoro You don’t Exist, The american dream, una monocorde litania a mo’ d’elenco recitato di presidenti statunitensi, quasi cupo memento dello sfiorire del sogno americano, alla fine della quale la band sale sul palco per attaccare una serie di brani potenti e veloci, eseguita senza soluzione di continuità; si dà voce al disagio per il mondo come è diventato, preda della guerra e dell’egoismo sociale con Free speech e la title track You don’t exist, alternando poi con brani del passato quali You kill me e Tell me Marie, rispettivamente dagli album You Kill Me e Take Me Away.
La cascata di suoni si ferma per introdurre No friends; Capovilla spiega come questo sia un pezzo a cui tengono particolarmente, che parla del tempo presente, della guerra lontana di cui neanche ci accorgiamo nonché della disfatta e della scomparsa della masse popolari come soggetto politico unitario.
Il segmento successivo riprende brani dall’omonimo disco d’esordio pubblicato dalla pisana Wide Records nel 1997 ( Guts e Your wine) e comprende un recitato in lingua italiana:
“L’amore non muore mai/ sei tu che lo uccidi!/ L’amore non muore/ Mai! Mai! Mai!/ Sei tu che lo uccidi ogni giorno”
che sfocia in un blues malato e lacustre che ricorda il Nick Cave dei primi anni novanta, quello di From her to eternity.
All’indirizzo del pubblico partecipe, seppur non numerosissimo e con un’età media oltre la trentina, arriva l’invito a portarsi più sotto palco, arricchito da un aneddoto autoironico:
“ Io mi piazzo sempre sotto palco” – dice il cantante – “ e non so se la gente mi guarda strano perchè vado proprio sotto palco o perchè sono io!”
Introduce poi un’incisiva cover di We don’t need freedom, dal repertorio dei Saccharine Trust, gruppo post-hardocore californiano dei primi anni ottanta, di cui ama ricordare l’attualità del testo.
La chiusura arriva con un Capovilla che, rilassato, la camicia sbottonata sul ventre prominente, fuma e chiacchiera col pubblico introducendo l’ultima canzone, a Crying shame, espressione idiomatica equivalente più o meno al nostro “una scena pietosa”, come un pezzo triste e sconsolato sull’indifferenza dei giorni nostri.
In apertura di serata, hanno provveduto a scaldare il pubblico i lucchesi Acid Brains, con la loro mistura grunge e noise che ben si è prestata a fungere da antipasto per l’evento principale.
Tour
12 Aprile @ Circolo Ohibò – Milano
13 Aprile @ sPAZIO211 – Torino
di +o- POP